Rubrica: "Le parole che ci salvano"

LIBRO: "Mia madre è un fiume"
Donatella Di Pietrantonio

Un testo dove l'Io narrante, la figlia, si rivolge all'Io narrato, la madre.

Uno dei temi tra i più sviscerati di sempre, trattato con parole dirette, a tratti aspre, che ci porta a riflettere sul rapporto madre-figlia.
Mia madre è un fiume accoglie un simbolismo potente. Il fiume che rappresenta le diverse fasi della vita e quindi la madre nella giovinezza “erano un fiume i suoi capelli scuri e sottili che la corrente divideva ai lati del viso...li pettinava alla sera dopo tutte le fatiche”, per poi giungere al fiume nel fluire delle sue parole “è un fiume di ricordi” fino al fiume che la rappresenta nel suo essere anziana, un fiume che si secca, si riduce e scopre il suo letto.
Narra il primitivo della civiltà contadina, che emerge violento sopratutto nella vita delle donne.
Narra di identità, biologia, memoria, di legami e di compromessi.
Narra la scoperta delle nostre fragilità: quello che siamo sotto la superficie rassicurante che è la nostra pelle.
“Amava al contrario, non dava per paura del dare a forza che aveva conosciuto come preda. Non so se è vero, volevo salvarla. I conti non si chiudono mai tra me e lei. Tutta la vita l'ho cercata, accattona che non sono altra. Ancora cerco, non la trovo, la cerco madre dolorosa”
Ho parlato di questo testo perchè apre ad una lettura che se da un lato turba, dall'altro può condurre ciascuno, nella sua unicità, a riflettere sul rapporto genitoriale e sulla sua portata nella nostra esperienza personale. E cosi che per me ha raccontato di come le emozioni si trasformano non seguendo una rotta già data, legittimandoci a provare senza censure sul cuore la rabbia che può trasformarsi in tenerezza, la mancanza che si trasforma in presenza attraverso il racconto.
Buona lettura!

LIBRO: "Le cose da salvare"
Ilaria Rossetti

L’utilizzo di un artificio letterario è il punto di partenza per una narrazione che ha come sfondo un fatto di cronaca quale il crollo del ponte Morandi avvenuta nel 2018. Sebbene nel libro non viene mai riferito in modo diretto, tale evento rappresenta una suggestione che consente all’autrice di introdurci il tema centrale, per l’appunto: “Le cose da salvare”.
Anche in questo libro torna forte il simbolismo, questa volta sotto forma del ponte, la rottura improvvisa di un equilibrio precedente, una metafora della disgregazione sociale ma anche delle singole esistenze di ciascuno di noi. Eh si, anche le persone possono essere ponti. Il punto allora forse diventa: come essere ponti? O meglio: come tornare ad essere ponti dopo che ci sono state delle rotture? Forse diventare un’apertura verso l’altro permetterà anche alla ferita di ricomporsi.
E da qui si aprono diversi piani narrativi:
Il ponte, i suoi morti e i suoi sopravvissuti;
La storia di una vita, di una famiglia, gli oggetti che l’hanno popolata che rappresentano molto più che un contenuto materiale;
Parla delle paure, dei dolori, degli affanni, di vita vissuta e di progetti mai realizzati.
Invita a vivere pienamente ogni rapporto umano anche quando abbiamo il timore che non possa durare;
Riflette su come facciamo ad andare avanti quando le cose finiscono, che si tratti di una fine biologica o la decisione di lasciare andare qualcosa o qualcuno.
E allora leggendo tra le righe ognuno di noi si ritrova a riflettere sulle sue cose da salvare, e forse subito dopo potremmo anche scoprire che le cose da salvare non sono solo quelle che possiamo trattenere ma quelle che impariamo a lasciare andare.
Perché una volta che abbiamo fatto questo passaggio, che abbiamo compreso che qualcosa ha fatto parte del nostro passato con i suoi odori, sapori e umori, in qualche modo lo abbiamo salvato per sempre perché lo abbiamo reso parte del nostro vissuto e quindi di ciò che siamo adesso.
… e invece quando cerchiamo a tutti i costi di trattenere diventa estremamente difficile salvare e salvarsi.

LIBRO: “COME AS YOU ARE – Risveglia e trasforma la tua sessualità!”
Emily Nagoski

Un libro semplice e diretto, che attraverso il ricorso alle ricerche scientifiche degli ultimi anni unite ad una buona dose di umorismo disinvolto, affronta il tema della sessualità femminile.
Narra di come fattori quali lo stress, lo stato d’animo, la fiducia o l’immagine che abbiamo del nostro corpo non sono marginali, ma assolutamente centrali per il benessere sessuale femminile; e che, anche se non sempre ci sentiamo così, siamo già sessualmente sane e complete nel momento in cui siamo semplicemente noi stesse.
Dona informazioni e ricerche all’avanguardia su consapevolezza, piacere e desiderio.
E così nella varie parti in cui è suddiviso ci consente di appurare come l’autrice stessa afferma:
  • “Nozioni (neanche tanto) elementari” sull’anatomia del nostro corpo, di alcuni meccanismi inerenti la risposta sessuale quali il modello del duplice controllo ossia di inibizione ed eccitazione “freni e acceleratori”;
  • Il sesso nel contesto: le nostre emozioni, le nostre relazioni, il rapporto con il nostro corpo, l’atteggiamento verso il sesso, le forze culturali che plasmano e inibiscono il funzionamento sessuale;
  • Il sesso in azione: il piacere e il desiderio possono avere a che fare, ma anche no, con quello che accade a livello genitale;
  • Estasi per tutti: come rendere il sesso completamente tuo.
Il libro allora si fa strumento e si rivela come una fonte di informazioni, in grado di sfatare tante false certezze e di consegnare sia completezza alle nostre conoscenze in materia di sessualità, sia leggerezza e appagamento al nostro modo di viverla.
Non aggiungerò altro su ciò che mi ha spinto a parlare di questo libro, poiché rischierei di banalizzare o non render giustizia ai messaggi ad esso sottesi. Mi limiterò, pertanto, a condividere alcuni passaggi al fine di stimolarne la curiosità e lascerò, a chi vorrà trarne spunto, la libertà di appropriarsene nell’intimità e unicità della sua personale lettura.

LIBRO: "Il Posto"
Annie Ernaux

Un libro autobiografico, peculiarità della scrittrice che ritroviamo in tutti i suoi romanzi. Scritto in modo apparentemente semplice, in realtà, fin da subito, arriva il sentore che sotto quella semplicità ci sia tutta la complessità del come ci si ritrovi ad entrare in contatto con le proprie origini, scoprendole, negandole e poi riscoprendole.

Sembra quasi di leggere degli appunti, a tratti slegati, ma poi si scopre la storia dell’autrice, della sua famiglia, del rapporto con il padre.

Narra di gente modesta alla ricerca di un riscatto ma legata alle sue abitudini contadine e operaie, una figlia a disagio che lentamente smette di avere un dialogo con i suoi genitori e fugge dalle sue origini.

Attraverso una scrittura dove sociologia, storia e letteratura si intrecciano in una narrazione senza sentimentalismi e senza emozioni apparenti ci parla:
 della felicita nelle piccole cose e sottesa ad essa “l’irrequietudine di un agio conquistato a fatica”;
del lutto connesso alla perdita di una parte importante di sé: il rapporto con un genitore così diverso, estraneo e allo stesso tempo amato e rimpianto;
del timore di essere fuori posto, della vergogna;
dell’impossibilità nell’accogliere le emozioni e restituirle in un atto di gentilezza;
Racconta la storia di un uomo qualunque, ma anche la storia dei nostri nonni e quindi anche delle loro fatiche e delle loro conquiste, la nostra storia ossia quella di un mondo che non ci appartiene più nella sua umiltà nella sua gentilezza incapace di ironia. Della "brava gente" modesta, che non si permette di desiderare qualcosa. Ed è così che consente a ciascuno di noi di interrogarsi sui legami.
L’autrice, nella consapevolezza di essersi separata dalla famiglia non solo nelle distanze fisiche ma anche nei modi di pensare, di parlare, di essere, attraverso la scrittura, ritrova quel legame nelle somiglianze che creano appartenenza, consentendo ai due di ricontrarsi anche attraverso quel “timore di essere fuori posto” e nella certezza di una “tenerezza astratta”.
Erano davvero appartenuti a due mondi diversi?

LIBRO: "Niente di Vero"
Veronica Raimo


Un libro dove ironia e ambivalenza si fanno strada a partire dal titolo e dalla stessa immagine di copertina.
  • Si gioca sull'ambivalenza tra il concetto di verità e il nome della stessa autrice che afferma «scrivere è anche manipolare la realtà, è scegliere cosa raccontare, supplire alle dimenticanze con un'operazione fraudolenta di invenzione creativa».
  • Il ricordo si mescola con la bugia, forse perché quando ci si sofferma sul concetto di verità, e sulle verità delle nostre biografie, si scopre che la stessa appare sfuggente, nella misura in cui essa può essere avvicinata solo stando sul presente, nel qui ed ora mentre appare difficile da recuperare quando entrano in gioco i ricordi, i camuffamenti e gli autoinganni rispetto a come le cose sono andate, come abbiamo agito in quelle circostanze, ossia chi siamo stati.
  • Con ironia e sottigliezza parla di: legami, sesso, perdite, amicizie sospese, il percorso di crescita e il tentativo di essere libere.
  • Il filo conduttore del libro parrebbe allora essere l’invito costante a pensare e agire senza dover dimostrare niente a nessuno, disinnescando alcune retoriche che spesso incontriamo:
                - del ruolo sociale, sapere chi vogliamo essere;
                -del ruolo femminile rispetto alla maternità e alle
                  relazioni, e della presenza di un riscatto che 
                  appare anche esso stesso stereotipato;

               -del narrare i personaggi secondo una visione                          binaria di successo o fallimento.
  • Disinnesca il pregiudizio con un’operazione inversa: il non dover corrispondere alle aspettative non fa della protagonista una ribelle o un’alternativa ma semplicemente una «che può farsi i fatti suoi [...] E’ proprio questa la grande conquista molto più di dover essere delle persone estremamente rivoluzionare di cui la letteratura è piena». Invita allora a trovare percorsi alternativi per costruirsi una propria strada. 
  • La protagonista di questa storia «vede in tutto ciò che è risolto una prigione mentre in tutto ciò che è fluido la possibilità di sopravvivere».
Ed è così che questa lettura forse può essere un invito ad affrontare le proprie contraddizioni e viverle!

LIBRO: "L'Età Fragile"
Donatella Dipietroantonio 

Nella quarta di copertina troviamo scritto quanto segue: Non esiste un’età senza paura. Siamo fragili sempre, da genitori e da figli, quando bisogna ricostruire e quando non si sa nemmeno dove gettare le fondamenta. Ma c’è un momento preciso, quando ci buttiamo nel mondo, in cui siamo esposti e nudi, e il mondo non ci deve ferire.

Fin dalle prime righe questo libro ci parla di quello che potremmo definire l’anello di mezzo nella costituzione di ogni essere umano, ossia lo strato della vulnerabilità, quello che si trova tra le nostre protezioni e difese e la nostra essenza, quello in cui risiede la nostra innocenza, i desideri d’amore ma anche la paura d’aprirsi ed esporsi, dove portiamo le ferite o le cicatrici dei vecchi traumi. Dunque la fragilità che in un primo momento parrebbe riguardare solo alcuni dei personaggi, ben presto li caratterizza tutti, a ricordarci che ogni epoca della vita potrà presentare i suoi imprevisti, incidenti, anche brutalità.
“Eravamo giovani, ma non invincibili. Eravamo fragili. Scoprivo da un momento all’altro che potevamo cadere, perderci, e persino morire”.

Traendo spunto da un fatto di cronaca inerente un femminicidio accaduta diversi anni fa, viene narrata la storia di due amiche, Lucia e Doralice, cresciute insieme con i padri amici, fino ad una notte di estate dei loro 20 anni, dove scoprono la paura e la minaccia che si celano nel mondo, da cui la frattura che le scaraventerà nella vita adulta.

Lucia, cresce e diventa madre. Ad accompagnarla un sentimento di inadeguatezza che si estende al suo essere genitore, dai primi momenti di vita della figlia fino a quando la riscopre adulta, tra il desiderio di autonomia ed esplorazione e i tentativi, a tratti mozzati, di distacco.

Lucia viene raccontata come una donna di provincia, radicata alla stessa, con orizzonti modesti,  mentre la figlia Amanda sogna di andarsene e si trasferisce a studiare a Milano che per lei rappresenta quell’altrove inesplorato. Quando Amanda ritorna forzatamente a casa a causa della pandemia, Lucia si stupisce di trovarla svuotata e cambiata, le appare vulnerabile. Rivede sé stessa da giovane, ferita e fragile. Anche per la figlia il luogo della speranza si è rivelato essere un luogo di paura e un episodio di violenza anche qui ha fermato tutto, catapultandola nella realtà, segnandola in quel percorso che è la vita, fatto anche di crepe, delusioni e indecisioni.

Attraverso questa narrazione allora sono diversi i temi che vengono toccati:

  • Il peso del passato e dell’importanza di affrontarlo per comprendere il presente;
  • I silenzi che impediscono di elaborare “il fatto” che può irrompere nella nostra vita, in diversi modi e nelle diverse età fragili;
  •  La possibilità di affrontare il peso delle decisioni e le conseguenti scelte anche quando ci “spaccano”;
  •  L’impossibilità di definirsi genitori capaci e competenti ma di accogliere la possibilità di trasformarsi con e attraverso i figli;
  • La sofferenza nelle relazioni a partire dal mancato riconoscimento dell’intenzionalità di contatto dei singoli protagonisti.

Credo che questo libro a tratti resti incompiuto. Allora il messaggio non potrebbe forse essere l’invito a riconoscere ciascuno la propria fragilità, attraversala, forse narrarla? Suggerendoci che ciò a cui aspirare potrebbe essere una relativa autonomia e una relativa dipendenza, così che la nostra esistenza non rimanga solo pensiero e frustrazione, poiché la capacità di vivere con e nelle relazioni appare costitutivo dell’essere umano, dell’essere vivi.

 

LIBRO:  "Quindici Consigli per crescere                     una figlia femminista"

Chimamanda Ngozi Adiche

Traendo spunto da una lettera realmente scritta per un'amica e neomamma, Igbo, che le aveva chiesto come crescere una bambina femminista, l’autrice amplia tale contenuto con un testo che potrebbe rivolgersi con la stessa efficacia a una donna di un’altra cultura, formazione, status sociale. Affronta con leggerezza e chiarezza i temi più importanti della questione femminile, senza la pretesa di fornire una narrazione esaustiva ma con l’intento di scrivere "una lettera onesta e pratica".

Adichie ha la capacità di liberare la parola “femminista" dalle realtà sociali e dai costrutti comportamentali che ne derivano per parlare prima di tutto di identità e di umanità.

Sebbene possano essere innumerevoli e spesso condivise le domande che un neogenitore si pone nel momento in cui nasce un figlio,
nel diventare genitori di una bambina le domande rimangono le stesse ma
richiedono una differenza di sguardo che non vuole ampliare il solco delle diversità tra uomini-donne ma colmarlo attraverso la consapevolezza e la riflessione.

I quindici consigli appaiono come tappe concrete della crescita di una donna, che consentono di affrontare temi e introdurre significati quali:

  • La completezza personale, l’importanza di una relazione paritaria; 
  • La messa in discussione dei ruoli di genere e della lingua, dove risiedono molti dei nostri pregiudizi, la lotta contro il bisogno costante di compiacere gli altri;
  • Gli Stereotipi, i preconcetti, la paura della diversità, la strumentalizzazione della biologia come giustificazione delle norme sociali;
  • Le trappole del cosiddetto "femminismo light";
  • L’importanza di insegnare la differenza e l'alternativa, la libertà di scegliere, nel successo come nell'errore;
  • Spiega alle bambine che tutte le vie che desiderano intraprendere sono valide e che i modelli di esperienza che in molti (a casa, a lavoro, nella realtà sociale...) cercheranno di imporre loro non vanno universalizzati.

L’autrice invita ad allontanarsi dalle rigide alternative binarie che continuano a introdurre limiti (madre/non madre; donna sposata/donna sola; donna in carriera/donna di casa…) esortando alla consapevolezza che non c'è nessun ruolo predefinito per vivere la nostra vita.